mercoledì 10 marzo 2010

Cosa si intende oggi con inconscio

1) Tipologie
Con il termine inconscio oggi si intendere un campo semantico molto più esteso rispetto a quello freudiano. Più in generale esso deve rendere conto di tutti quei processi impliciti che sfuggono alla coscienza e hanno la funzione di mantenere in equilibrio l’organismo, e in definitiva può essere associato a tutte le forme possibili di immagazzinamento dell’informazione, cioè le memorie, poste al di sotto della coscienza1. Per memoria in senso lato si può così intendere originariamente quella contenuta nel codice genomico strutturante lo sviluppo dal concepimento, ma anche quella veicolata dai sistemi vegetativi e simpatici o immunitari e ormonali, riconducibili a delle memorie procedurali, che sono responsabili di tutta una serie di comportamenti omeostatici, oppure i processi di catalogazione dell’esperienza fino alle forme più evolute di memoria estesa episodica e autobiografica. Come ben sappiamo, soltanto una piccola parte di queste memorie possono accedere alla coscienza e possono in virtù di ciò essere influenzate da scelte decisionali esplicite. Lo stesso metodo introspettivo propagandato dalla psicoanalisi ci permette di fare chiarezza sulle dinamiche delle rappresentazioni simboliche del desiderio, ma niente più, infatti ci rimane oscura la formazione subconscia del linguaggio o la strutturazione cognitiva dei modelli mentali con cui ci rappresentiamo il mondo, che possono essere svelati solo grazie a ricerche di laboratorio in cui frammentare e far emergere ciò che non affiora alla nostra coscienza. Per spiegare come ciò sia possibile dobbiamo ipotizzare rappresentazioni mentali stratificate in più livelli. Così risulta utile tracciare una linea di separazione (spaltung) tra rappresentazioni coscienti, facilmente accessibili alla memoria episodica, tra processi subcoscienti, cioè tra rappresentazioni simboliche, un tempo coscienti e poi dimenticato e/o rese implicite e automatiche, seppur, con qualche difficoltà, recuperabili nella memoria esplicita, e inconscio propriamente detto, cioè mai conosciuto e inconoscibile esplicitamente dalla coscienza, se non limitatamente attraverso l’ausilio indiretto della riflessione speculare, come possibile punto di vista vicario esterno. Cioè a uninterpretazione del tutto ipotetica, tutta da dimostrare. Con inconscio propriamente detto si fa riferimento a tutte quelle memorie procedurali implicite di natura emotiva e motivazionale. Per riassumere abbiamo:

a. L’inconscio emotivo o spaltung orizzontale pre-simbolica. Il più arcaico ma sempre dipendente da una strutturazione superiore sub-corticale soprattutto tronco-encefefalica, talamica, “limbica” etc. Rappresenta la risposta emotiva e di attivazione (arousal) tronco encefalica (amigdala, etc.) corrispondente alla cosiddetta via breve di Le Doux e generante memorie procedurali somato-comportamentali che non abbisognano di alcun tipo di immagini mentale ma solo di configurazioni, mappe neuronali degenerate. Solo in piccola parte questa forma di inconscio può diventare esplicita e gestibile volontariamente (vedi ad esempio la cosiddetta via lunga di Le Doux).
“Le ricerche neurologiche sulla relazione tra sistema limbico ed esperienza affettiva hanno messo in luce i complessi rapporti esistenti nei mammiferi fra l’attività del tronco encefalico, il sistema endocrino, il sistema limbico e la neo-corteccia nei vissuti e nelle espressioni delle emozioni, nell’attribuzione di valore affettivo alla memoria e ai processi di apprendimento e infine nell’organizzazione di complessi comportamenti sociali, come i comportamenti di attaccamento, le reazioni alla separazione, i comportamenti di accudimento ecc., anche se non sono ancora in grado di rendere conto delle differenze individuali e specie-specifiche” (p. 66, De Coro, Dazzi 2001).
Infatti, non basta la cognizione fatta di percezione, apprendimento, memoria e pensiero per muoversi bene nel mondo.
“Le emozioni integrano la cognizione e guidano la soluzione dei problemi posti dall’ambiente e dall’interazione con le altre persone. Esse modulano in vari modi (sospendono, limitano, o integrano) l’azione della razionalità. Così facendo rendono possibile l’azione in un mondo incerto, ambiguo, e spesso potenzialmente troppo ricco di informazioni e di conflitti per le nostre capacità cognitive limitate. Se tuttavia l’equilibrio tra i meccanismi cognitivi e quelli emotivi si sposta troppo e finisce per favorire l’azione esclusiva della forza delle emozioni, allora possiamo giungere a forme di fissazione che ci impediscono di vedere le cose dal punto di vista degli altri. A questo punto l’emozione è un ostacolo” (p. 110, Legrenzi 2002).

b. C’è poi l’inconscio freudiano propriamente detto, cioè il subcosciente o spaltung orizzontale simbolica, anch’esso profondamente influenzato dai profondi moti emotivi sopravisti.
“Esso nasconde la rappresentazione simbolica non più cosciente di passioni, desideri, magari emerse nei sogni, o nelle varie manifestazioni di autoinganno, come quando incappiamo in un lapsus verbale e diciamo qualcosa che non avremmo voluto dire. Rispetto alla separazione tradizionale tra razionalità/cognizione, da un lato e irrazionalità/emozione, dall’altro lato, Freud ha cercato di mostrare come questa distinzione non sia così netta e che la vita mentale è fluida nel senso che ci sono passaggi tra i vari strati della coscienza. Spesso il mondo delle passioni influenza la vita cosciente e le nostre azioni, in forza della spinta di motivazioni e desideri di cui non ci rendiamo conto, o meglio, non vogliamo renderci conto. […] Noi diventiamo consapevoli dell’esistenza e dell’azione dell’inconscio proprio quando questo, almeno in parte si dissolve” (pp. 95-96, Legrenzi 2002).
Più in dettaglio esso comprende: le rappresentazioni del sé, del non-sé e del sé-non-sé (i sentimenti) originate dalla coscienza estesa che possono essere richiamate nella memoria di lavoro come memorie episodiche di eventi precedentemente coscienti, immagazzinati grazie al complesso ippocampale e della corteccia frontale. Tale livello di rappresentazione presuppone l’esistenza di una coscienza estesa e di una precedente capacità immaginativa e di simbolizzazione che sembra instaurarsi dall’età di quindici, diciotto mesi2, ma che assume tutta la sua importanza solo con la definitiva maturazione della neocorteccia in particolare quella frontale e prefrontale che nell’uomo si completa tardivamente. Trasversale alla spaltung orizzontale simbolica è possibile tracciare una spaltung verticale responsabile dei DDI o disturbi dissociativi dell’identità o frantumazione dell’identità, capace di generare dei livelli di coscienza alterati normalmente funzionali e strettamente legati alle reazioni emotive. Solo se persistenti possono essere invalidanti e disadattivi, in quanto vengono precluse alla coscienza intere fette di sé non più riconosciute come proprie.

c. L’inconscio cognitivo:
“Noi ci facciamo dei modelli mentali delle informazioni su cui ragioniamo senza rendercene conto. […] La conclusione intuitiva è errata perché è il frutto di quel tipo di illusioni cognitive che P. N. Johnson-Laird ha chiamato inferenze illusorie. Ci sono molti altri tipi di illusione nel ragionamento. Tutte sono accomunate dal fatto che la nostra mente costruisce delle rappresentazioni incomplete dei problemi senza che noi ce ne rendiamo conto. Il principio generale che governa l’incompletezza dei modelli mentali è il cosiddetto principio di verità. Esso predice che noi costruiamo modelli mentali di quello che ci viene detto prendendo in considerazione solo gli stati di cose veri [cioè il modus ponens e non il tollens]. […] L’incompletezza delle rappresentazioni avviene senza che ce ne rendiamo assolutamente conto. Anzi, è persino difficile spiegare quale sia la rappresentazione corretta del problema che evita l’inferenza illusoria. È plausibile supporre che l’evoluzione della specie abbia favorito una soluzione di compromesso consistente in rappresentazioni incomplete per sfruttare al meglio le nostre limitate risorse cognitive. I ragionamenti guidati da una grammatica mentale di questo tipo, che è innata e non appresa, sono cognitivamente maneggevoli e di più facile impiego. Ma questa resta necessariamente solo un’ipotesi, per quanto plausibile. Esiste un unico apparato che possiamo chiamare inconscio cognitivo? In realtà non esiste. È una nozione da noi introdotta per raggruppare tutti i modi di funzionare della mente di cui non ci rendiamo conto. Oggi sappiamo che, dietro a questa etichetta,ci sono in realtà meccanismi specifici e diversi: la memoria iconica, l’attenzione, l’autoinganno, il ragionamento e così via. Se si è voluto raggruppare tutti questi meccanismi nel cosiddetto inconscio cognitivo o helmholtziano, lo si è fatto semplicemente per distinguerlo da un suo parente più noto al grande pubblico: l’inconscio freudiano” (pp. 92-95, Legrenzi 2002).

2) Modularità gerarchica di più livelli di coscienza
I vari livelli di inconscio che emergono ontogeneticamente in tempi differenti sussistono in parallelo influenzandosi a vicenda con una predominanza gerarchica dell’inconscio emotivo, più primitivo e grezzo nelle risposte, su quello simbolico, più evoluto e strutturato. La prevalenza del bottom-up tronco-encefalico sul top-down corticale è giustificabile con le medesime motivazioni argomentabili viste precedentemente e ben sintetizzate da Le Doux 2004. Se vengono meno le normali possibilità difensive come la fuga o l’attacco, si instaurano sistemi difensivi adattivi più radicali, fortemente influenzati dalla componente emotiva più arcaica, che, se protratti nel tempo, potranno diventare disadattivi e patologici. Ad esempio la normale reazione nevrotica fobico-contro-fobica, innestata da una aggressione esterna o interna, supposta o reale che sia, è causa normalmente di una lieve distorsione valoriale e cognitiva dell’informazione (censura, rimozione e resistenza). In caso di aggressione estrema e prolungata, se tali difese nevrotiche risulteranno inefficaci, favoriranno l’instaurarsi di risposte difensive capaci di alterare ben più profondamente le informazioni unimodali entero-esterocettive T-C, C-T, C-C3, sempre per la suddetta aumentata influenza del filtro emotivo verso tutti i livelli encefalici. Cioè, l’urgenza di risposte adeguate conseguenti all’aggressione saranno influenzate dalla nuova ridescrizione e rirappresentazione della realtà, arrivando al limite al costo di tagliare la coscienza esplicita o di frantumare la precaria identità nella scelta dei comportamenti adeguati da perseguire. In situazioni prolungate di stress si potrà così arrivare a risposte via via ingravidescenti depressive, psicotiche e dissociative fino al ritiro autistico. Queste modalità estreme di difesa saranno tanto più perseguite quanto meno si sarà impiantato un sé capace di opporsi alla dissociazione (spaltung verticale) e di contenere l’angoscia associata. La formazione di una identità stabile, coerente è la conseguenza di un insieme di predisposizioni caratteriali genetiche che comportamentali apprese culturalmente. Deficienze genetiche come forse è ipotizzato nell’autismo, esperienze precoci traumatizzanti o caregivers frustranti possono invalidare il normale processo di identificazione precoce. In questo secondo caso una delle possibili conseguenze delle reazioni emotive sub-corticali, coscienti e incoscienti può essere il rilascio di sostanze in circolo o direttamente sui siti corticali capaci di modificare, alterandole, sia l’attenzione che le capacità di valutazione e di decisione top-down fino ad arrivare, nei casi più gravi, a distorsioni percettive e alla destrutturazione della memoria episodica. In situazioni di stress prolungato, e ciò vale anche per l’adulto, può essere irrimediabilmente compromesso il normale funzionamento dell’ippocampo, della corteccia pre-frontale e orbito-frontale, che possono andare incontro a degenerazione più o meno irreversibile.
Riguardo la relazione tra emozione e cognizione è interessante il confronto con la sintesi proposta da Dazzi e De Caro:
“diverse ricerche negli ultimi decenni hanno messo in luce:
a) la necessità di un’interconnessione tra fattori genetici e stressors ambientali (eventi traumatici, condizioni di vita ecc.) perché si producano disturbi psichici gravi come, per esempio, gli episodi di depressione maggiori;
b) l’importanza della emotività negativa nelle diminuita capacità di rilevazione delle informazioni sensoriali, dal momento che alti livelli di emozioni negative risultano associati a una ridotta produzione della noradrenalina, con la conseguenza di ridurre la discriminazione tra segnale e rumore di fondo nella elaborazione delle informazioni;
c) la conferma che i comportamenti disturbati sono connessi a caratteristiche del funzionamento generale, sa dal punto di vista psicologico che neurobiologico (per esempio una bassa soglia di facilitazione emotiva, connessa a una bassa attività della serotonina) che da predisposizioni genetiche;
d) l’esistenza di “finestre temporali” nel corso dello sviluppo individuale, cioè di periodi sensibili allo sviluppo e all’espressione di fattori genetici. Dove tale espressione risulta condizionata dalla presenza o assenza di determinati fattori ambientali (Gabbard 1999, Depue 1996) (p. 68, De Coro, Dazzi 2001)

note
1)“Secondo Westen, infatti, la ricerca empirica ha abbondantemente confermato l’esistenza e la rilevanza di processi cognitivi, emotivi e motivazionali inconsci, di rappresentazioni inconsce rimosse, di conoscenze che non possono essere coscienti perché la loro natura le rende difficili da verbalizzare e pensare (conoscenze implicite), e di conoscenze di cui non siamo consapevoli, in un momento dato, solo perché la coscienza ha una “capacità limitata” (confronta l’ipotesi del canale unico). Tutto ciò rende poco precisa l’ipotesi di un unico sistema etichettato con la parola inconscio (p. 54, Lingiardi, Madeddu 2002).
2)Va detto che oggi tali limiti temporali sembrano essere stati messi in discussione dalla recente infant observation
3)Il cervello tripartito: a partire dalla famosa partizione di Maclean del cervello e della scoperta del sistema limbico, oggi impiegato più per finalità euristiche, il sistema nervoso centrale può ancora essere organizzato in tre unità topologiche e funzionali separate ma nel complesso integrate in parallelo:
1. talamo corticale (vie unimodali T-C, C-T, C-C associative);
2. struttura ad anello polisinaptico dei circuiti inibitori dei gangli della base deputate al rientro e al filtro percettivo, attentivo;
3. proiezioni ascendenti diffuse multimodali dei sistemi di valore e di attivazione (arousal). Sono i sistemi motivazionali ed emozionali

Conclusione

L’intero sistema nervoso può diventare un efficiente valutatore probabilistico ecologico di eventi, emergente dalla rielaborazione di precedenti agili mappaggi neuronali già pronti per l’uso fin dalla nascita quando non dal feto. La peculiarità di questi schemi cognitivo-motori, dinamici e vicarianti tra di loro è di garantire versatilità al cervello, tale da fornire metodi e soluzioni disparate per produrre reazioni simili (vedi le mappe degenerate di Edelman e la specializzazione interattiva) e allo stesso aperte all'evento nuovo. Se da un lato si è velocizzato il processo di computazione al contempo si è riscontrata la processazione di outputs approssimativi. Ciò spiega la stereotipia delle risposte nei neonati, ma vale anche per la fissità cognitiva degli adulti. A quanto pare, il sistema cerebrale così strutturato è più sbilanciato nel ridurre l’esperienza all’identità, ricercando la chiusura e omettendo le lacune, come già dimostrato pioneristicamente dalla psicologia gestaltica, evitando così di dare il giusto rilievo alle novità e alle differenze comunque presenti rispetto al passato. Solo dopo successivi feed-back valutativi negativi, possono all’occorrenza essere prese in considerazione eventuali differenze qualitative in basi a preformati sistemi di aspettative (confronta i “livelli di aspirazione” di Zeigarnik), necessari per la formulazione di ulteriori nuove categorizzazioni (abduzione, insight).
Da un punto di vista evolutivo il campionamento dell’esperienza sempre più integrato (modularizzazione(1) come specializzazione e localizzazione cerebrale), a cui corrisponderà lo sviluppo pluristratificato dei livelli di (in-)coscienza(2) ha il vantaggio di elaborare i dati sensibili in modo sempre più astratto e esplicito, così da garantire l’elaborazione di una migliore strategia esistenziale. “Le interazioni rientranti fra mappe che mediano concetti, mappe che mediano simboli linguistici e le parti non coscienti del cervello consentono alla coscienza di sfruttare la memoria, anche in mancanza di nuove informazioni percettive” (p. 313, Le Doux 2004) ampliando in modo considerevole la capacità previsionale e di interazione con l’ambiente. Inoltre fa si che, tramite la psicologia del senso comune e le metodologie di identificazione precoci appena viste, il mondo sia più familiare fin dalla nascita e le interazioni sociali comprensibili ed imitabili. Ma esiste un conto salato da pagare in termini di efficienza alla recente evoluzione filogenetica del sistema neuronale. Infatti, “il nostro cervello non si è evoluto a un punto tale che i nuovi sistemi, i quali rendono possibile un pensiero complesso, riescono facilmente a controllare i sistemi antichi che danno origine ai nostri bisogni e moventi di base, nonché alle reazioni emotive. Ciò non vuol dire che siamo in completa balia del nostro cervello e che non ci resti che cedere ai nostri impulsi. Significa invece che la causalità discendente [top down] è a volte un’impresa ardua. Fare la cosa giusta non sempre scaturisce spontaneamente dal fatto di sapere quale sia la cosa giusta da fare. In conclusione, dunque, il Sé è sostenuto da sistemi che operano sia in modo esplicito sia in modo implicito. Attraverso i sistemi espliciti ci sforziamo di affermare in modo intenzionale chi siamo e il modo in cui ci comporteremo. Ma solo in parte riusciamo effettivamente in tal senso, dal momento che abbiamo un accesso conscio imperfetto ai sistemi emotivi, che svolgono un ruolo tanto cruciale nel coordinare l’apprendimento proveniente da altri sistemi” (pp. 313, 449, Le Doux 2004).
Inoltre le stesse strutture “superiori” emergono da precoci mappaggi neuronali degenerati incarnati involontariamente che danno conto fatalmente del nostro passato, ma dipendono anche da una serie di afferenze emotive, viscerali, somato-sensitive e somato-motorie solo minimamente o affatto influenzabili dalla coscienza esplicita e comunque certamente meno di quanto invece la coscienza ne sia determinata.

note
1)Confronta anche con la selezione nello sviluppo e la selezione esperienziale o potatura sinaptica di Edelman. La prima serve per generare diversità, infatti il cervello neonatale è ridondante in quanto a numero di neuroni, ma è inizialmente carente in quanto a collegamenti interneuronici, cioè manca di specializzazione funzionale. Ciò dovrebbe garantire una elevata adattabilità ambientale. La seconda è il processo di specializzazione funzionale delle aree cerebrali ed è assimilabile all’apprendimento classico e operante o per rinforzo del comportamentismo. Contrariamente a quest’ultimo, il cervello non è però considerato a mo’ di tabula rasa, infatti dall’estrema varietà iniziale prevista si svilupperanno solo le linee neuroniche stimolate, secondo un mix equilibrato tra innatismo e apprendimento (epigenesi probabilistica). È importante anche la variabile della plasticità cerebrale particolarmente attiva nei periodi sensibili o critici ma comunque presente in tutti i momenti di vita successivi, come dimostrato dal riequilibrio percettivo post lesioni
2)proto-coscienza o proto-sé, coscienza primaria o coscienza nucleare, coscienza secondaria o coscienza estesa, meta-coscienza secondaria valoriale integrata o coscienza etica secondo Edelman e Damasio

La simulazione incarnata e imitativa e i circuiti del come sè

Secondo le recenti posizioni dell’infant reserch, si è accertato che il neonato, ma ciò vale anche per il feto, non è affatto immerso in uno stato di isolamento. Al contrario è predisposto geneticamente fin da subito a una interazione selettiva con l’ambiente che lo circonda, anche se con risposte approssimative di natura emotiva(1) ancora stereotipate e apparentemente semplici. Tutto ciò senza dover per forza postulare, come fa il cognitivismo, l’esistenza del pensiero simbolico come predisposizione innata (Spelke 1990) o ipotizzare uno stato di caos percettivo iniziale come sostenuto dal comportamentismo o da Piaget. In particolare, l’imprinting alla socializzazione sembra essere favorito da moduli funzionali specifici innati come quelli imputati alla naturale predisposizione attentiva rivolta ai volti, all’imitazione precoce e alla sincronia interattiva. La simulazione precoce dell’altro, che coinvolge direttamente i circuiti senso-motori e affettivo-motori del corpo in modo riflesso ad opera dei processi imitativi innati, produce una primordiale esperienza di condivisione empatica con l’altro, una “risonanza diretta”, fornendo le basi neurologiche a una proto Teoria delle altre menti.
Con l’evoluzione dello sviluppo “la simulazione incarnata non sarà l’unico meccanismo che sottende la comprensione delle emozioni. Gli stimoli sociali possono essere compresi anche sulla base della esplicita elaborazione cognitiva dei loro aspetti visivi. Questi due meccanismi non sono mutualmente esclusivi. La simulazione incarnata (enbodyment), probabilmente il meccanismo più antico da un punto di vista evolutivo, è tipicamente esperienziale, mentre il secondo meccanismo si configura come l’interpretazione cognitiva di uno stato di cose esterno al soggetto (funzione riflessiva). L'ipotesi è che la simulazione incarnata costituisca uno stadio necessario per il corretto sviluppo di strategie cognitive sociali più sofisticate” (p. 243, Gallese 2006).
Alle regole della simulazione incarnata sono riconducibili sia le mappe neuroniche del come sé di Damasio e quelle imitative di Gallese, originando probabilmente dalle stesse mappe degenerate e altamente integrate di frames di neuroni sincronizzati. Anche se i circuiti di Damasio manifestano una maggiore predisposizione volontaria, mentre in quelli di Gallese prevale l’aspetto imitativo riflesso indotto implicitamente dalla presenza di un soggetto esterno. Ciò testimonierebbe da un punto di vista ontogenetico della primitiva origine di questi ultimi rispetto a quelli di Damasio. Quest'ultimi infatti richiedono la presenza della corteccia frontale e della memoria di lavoro oltre che di un pensiero rappresentazionale simbolico astratto cosciente o subcosciente già sviluppato. Tutte proprietà acquisibili soltanto negli anni successivi alla nascita.

note
1)Vedi ad esempio la via breve di Le Doux e la memoria valore-categoria o ideo-affettiva di Edelman

La ridescrizione rappresentazionale (da ora RR)

Questo modello è la riproposizione attuale delle fasi dello sviluppo cognitivo infantile piagetiano rivedute però attraverso il paradigma neurocostruttivista. Per Piaget esistono quattro fasi distinte rintracciabili lungo l’arco dello sviluppo cognitivo del neonato, esse sono:
1. il periodo senso-motorio o schema motorio
2. il periodo prelogico o schema mentale
3. il periodo operatorio concreto con operazioni intellettuali
4. il periodo operatorio formale con operazioni intellettuali formali
Secondo la RR, il modo tipicamente umano di costruire e sviluppare la conoscenza è caratterizzato dal fatto di poter rielaborare ciclicamente le rappresentazioni esistenti già codificate, secondo nuove forme e nuove possibilità di astrazione e di sintesi. Si passa così da una conoscenza implicita legata a memorie procedurali a formati sempre più espliciti e manipolabili riflessivamente e intellettualmente secondo un aumento di esplicitazione e di automatizzazione. Nello specifico sono state individuate tre fasi:
1) la padronanza del nuovo compito, dovuta a esercizio motorio cioè all’acquisizione di conoscenze implicite procedurali
2) la presa di coscienza di tali nuove conoscenze che vengono esplicitate ovvero rirappresentate riflessivamente e applicate al comportamento da eseguire non più solo automaticamente ma anche in funzione della applicazione cosciente della nuova regola appresa
3) la nuova padronanza del compito attraverso conoscenze esplicitate sempre più astratte e manipolabili che permettono un giusto equilibrio tra controllo e flessibilità
L’andamento di questo tipo di apprendimento ha una curva ad U, spiegabile dal fatto che nel punto 2, ad una aumentata qualità della conoscenza non segue un adeguato expertise, raggiunto invece nella terza fase.
Rispetto la stadialità piagietiana, il modello RR presuppone una distribuzione a più livelli delle competenze di ogni singolo dominio, che sono così slegate dallo stato di apprendimento raggiunto da tutti gli altri moduli dominio-specifici. Cioè si possono avere picchi e cuspidi di competenze locali solo in parte influenzate dallo stato generale di sviluppo dell’organismo. Inoltre la codifica dell’informazione presuppone più livelli di rappresentazione in parallelo (codifica multipla) a diversi livelli di dettaglio e di esplicitazione nello stesso dominio funzionale, in sintonia anche con la teoria emergentista della coscienza sviluppata in particolare da Damasio e da Edelman.
Per concludere la RR sembra smentire la possibilità di una coerenza generale dello sviluppo che è invece a quanto pare molto più stocastico e variabile da un ambito funzionale all’altro, in funzione dell’esperienza conseguita. Così, nei casi limite, cioè quelli più squilibrati, si può giungere a forme di disadattamento, definite per esempio nell'autismo ad alto funzionamento.

Infant observation

La ricerca attuale sullo sviluppo infantile si fa forza della convergenza tra gli studi sui processi cognitivisti con quelli di neurofisiologici, neurobiologici da un lato e con la genetica e l’evoluzionismo neodarwiniano.
In particolare si analizzerà:
1) la specializzazione interattiva e la codifica multipla (cfr. cap. 7, Macchi Cassia, Valenza, Simion 2004)
Grazie al modello dell’epigenesi probabilistica neocostruttivista, un mix tra innatismo e apprendimento, si è affermata una posizione intermedia tra costruttivismo piagetiano e cognitivismo. La mente non è considerata del tutto malleabile come una tabula rasa, ma a partire da specifiche genetiche generali vincolanti, può evolvere in una serie di domini-specifici funzionali grazie alla specifica interazione ambientale, garantendo così una elevata adattabilità. Sono state parzialmente rivalutate anche le teorie dell’apprendimento comportamentista, il condizionamento classico e quello operante, reinterpretati però secondo le specifiche del sistema autonomo complesso che garantisce un più elevato grado di libertà senza mortificare i procedimenti di apprendimento alti teorizzati in particolare dalla gestalt e dal cognitivismo.
Ritornando allo sviluppo cronologico delle funzioni cognitive, esistono varie teorie secondo cui le modificazioni computazionali del cervello sono dovute:
1. a un cambiamento strutturale, cioè a una maturazione neuroanatomica dello stesso. Per esempio con lo sviluppo di aree funzionali più o meno nuove (vedi ad esempio la genesi della corteccia frontale)
2. al contributo di aree specifiche presenti fin dalla nascita, come la corteccia prefrontale, l’ippocampo o l’amigdala, che svolgono un ruolo di tutoraggio o di supporto per le aree non ancora specializzate così da facilitare l’esecuzione del compito, la memorizzazione e successivamente la sua specializzazione in aree localizzate sempre più ristrette
3. un nuovo compito presuppone l’attivazione simultanea e l'integrazione di varie mappe neurali distribuite già presenti, in modo da rendere possibile un agevole svolgimento del nuovo compito e della sua memorizzazione. Con l’apprendimento del compito le aree attivate saranno sempre più ristrette e specifiche
I punti 2 e 3 presuppongono il concetto di funzionamento parziale delle mappe neurali in modo che queste siano coinvolte e cooperanti in più compiti e in modo vicario, almeno se ci si vuole appoggiare all'ipotesi delle mappe degenerate di Edelman. Quesra presuppone lo sviluppo come dipendente da funzioni dominio-generali biologiche da cui successivamente, grazie alla specializzazione interattiva con l’ambiente, dipenderanno successivamente l’emergenza di domini-specifici. L’esistenza di aree specializzate funzionalmente peculiari non abbisogna necessariamente di un modello epigenetico deterministico come quello modulare, in quanto è sufficiente ipotizzare l’esistenza di vincoli e di predisposizioni genetico-generali a più livelli:
a. architettonico neurale: “legge di Hebb”
b. spaziale-temporale: proliferazione iniziale o selezione nello sviluppo, potatura e aumento interconnessioni, periodo sensibile per l’apprendimento, binding problem dovuto al rientro cioè all’interconnessione rientrante dei moduli cosi da favorire la sincronizzazione delle aree attivate.
Grazie a questi vincoli generali, lo sviluppo non sarà una semplice maturazione ma una crescita sostanziale dipendente dal contesto, in cui a partire da un grado massimo di libertà corrispondente alla totalità delle possibilità silenti, cioè non ancora attivate, si passa alla selezione delle sole componenti richieste, attraverso un processo di specificazione sempre più dominio-specifico, cioè peculiare. Cioè il sistema diventa sempre più vincolato e specificato, pur mantenendo pur sempre una parte di quelle prerogative plastiche che aveva fin dall’inizio.
Va aggiunto che non tutte le modificazioni avvengono allo stesso modo e con la stessa efficacia in quanto esistono dei tempi predisposti geneticamente che favoriscono l’apprendimento di nuove competenze, il cosiddetto periodo critico che in un’ottica meno deterministica diviene periodo sensibile.
Anche se in teoria lo sviluppo può inizialmente essere massimamente aperto alle influenze ambientali, rimane comunque il fatto che la natura ha operato a monte a vincolare le predisposizioni attentivo innate. Così il neonato pur nella varietà spazio-temporale si rivolgerà di preferenza a delle categorie percettive specifiche, quali ad esempio i volti, la voce dei genitori. Tali predisposizioni facilitano un certo tipo di apprendimento circoscrivendo gli input ambientali. In particolare contribuendo a rendere meno caotica e più omogenea l’esperienza. Per questo anche nel processo della modularizzazione, cioè della specializzazione funzionale e topologica dominio-specifica si può continuare a parlare di determinismo debole essendo influenzato anche dagli andamenti di sviluppo probabilistici in funzione di un certo contesto accidentale.

Preambolo

In generale, i tradizionali termini usati nella clinica psicoanalitica hanno dovuto fare i conti con il tempo e accettare la sfida di un confronto a 360° con i variegati ambiti della psicologia contemporanea e non solo. In particolare è oggi necessario approdare a un modello integrato di conoscenze che oggi comprende la psicologia cognitiva e della motivazione, la neurofisiologia, la genetica, il neuro-darwinismo, il connessionismo, la scienza dell’informazione, l’infant observation e molto altro ancora. In base a questi confronti interdisciplinari è stato necessario riformulare un nuovo modello antropologico che pur mantenendosi in sintonia con le esperienze cliniche, fosse in grado di accettare la sfida del sapere e delle ricerche attuali. Infatti la stessa equazione eziologica ha dovuto ingrandire lo spettro di riferimento entro ambiti non più solo riferibili a traumi di natura sessuale o alla sola storia individuale o alle richieste conflittuali delle varie istanze psichiche, ma si è dovuta confrontare con le disfunzioni di natura cognitiva, genetica, con il mancato sviluppo dei moduli funzionali dell’infante, solo per citare qualche esempio. Per forza di cose termini fondamentali come quelli di meccanismi di difesa, di inconscio, di trauma, di narcisismo, di coscienza sono stati necessariamente modificati secondo i nuovi paradigmi emergentitutti. Tali modelli partono da una concezione monistica emergentista non lineare che presuppone una spiegazione “incarnata” (enbodyment) dei processi psichici. L’organizzazione psichica è pensata come struttura auto-etero-organizzata avente come finalità la sopravvivenza, conseguita tramite processi adattivi di omeostasi e autoregolazione. Vediamo in dettaglio le novità.